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La Via della Seta, Cina
Intervista a Marco Goldin
Intervista a Bartabas
 
 

Degli articoli realizzati per "Specchio La Stampa" riporto di seguito alcune pagine e i brani iniziali.
Chi fosse interessato ai servizi completi può scrivere a: apolitano@artsrl.it


Cammelli
Ancor oggi i robusti e lanosi cammelli battriani sono utilizzati, per la proverbiale resistenza a climi e terreni, nel trasporto di merci lungo quell’intreccio di vie carovaniere (che, semplificando, si definisce Via della Seta) che collegavano Oriente e Occidente, l’impero cinese delle molte dinastie e il mondo del Mediterraneo, prima greco, poi romano, con in mezzo l’antica Persia a far da filtro e cerniera. La modernità è giunta anche qui, come sull’altipiano a 4.000 metri della Valle del Karakorum, nello Xinjiang cinese, dove una piccola carovana di cammelli si rimette in marcia dopo la tormenta di neve lungo la strada asfaltata a pochi km dal confine con Pakistan e Afghanistan. Tra i reperti presenti a Treviso, la terracotta di epoca Tang di una ragazza addormentata su un cammello.







Seta
Greci e romani chiamavano la Cina “il paese della seta”. La figura femminile di terracotta, con veste rossa ad ampie maniche ed estremità a forma di tromba, risale alla dinastia degli Han occidentali (206 a.C.-8 d.C); l’utilizzo della seta negli abiti e le fantasie di lavorazione e ricamo raggiungono il massimo splendore nei secoli di dominazione Tang (618-907 d.C.). Esistono ancora fabbriche che assicurano l’intero ciclo artigianale: dalla bollitura dei bozzoli alla tessitura con telai tradizionali.


Offerente
Mercato di Zawa, lungo il tratto meridionale della Via della Seta che attraversa lo Xinjiang. La dinastia Tang fu artefice di quella che i cinesi considerano la fase più gloriosa della propria storia, il loro Rinascimento (otto secoli prima di quello occidentale). Il canone estetico dell’epoca voleva donne paffute, come mostra uno dei pezzi pregiati della mostra: la terracotta Cameriera detta anche “L’Offerente”, per le mani aperte e rivolte all’insù nell’atto di reggere o offrire qualcosa.

Giada
Sarcofago di giada, della dinastia degli Han occidentali, periodo degli Stati combattenti: il più antico vestito di giada assemblato con fili d’argento rinvenuto in Cina, costituito da 2.116 placche di giada e da un kg di filo d’argento, a forma di corpo umano. Un tempo si credeva che lo spirito di un morto vivesse in eterno se il suo corpo veniva sepolto avvolto in un abito di giada. Già allora i migliori giacimenti erano ritenuti quelli di Hotan, dove ancora oggi si cerca la giada lungo i fiumi.






Intervista a Bartabas
(testo di Antonio Politano,
foto di Alessandro Barteletti e Antonio Politano)



Corpi che danzano su cavalli, monaci che cantano nella penombra, magnificenza di maschere e costumi, odore di stalla e incenso. Opera equestre, omaggio al Tibet, nuova tappa dello sviluppo di un’arte singolare, teatro e sogno. Loungta, i cavalli di vento, l’ultima creazione di Bartabas, carismatico fondatore e leader della compagnia Zingaro, è in Italia dal 30 settembre al 19 ottobre, clou della ventesima edizione del Romaeuropa Festival. Ispirato al racconto della nascita, morte e reincarnazione contenuto nel Bardo Thodol, il Libro tibetano dei morti, lo spettacolo si avvale dello stupefacente accompagnamento sonoro dei monaci del monastero di Gyuto, in esilio nel nord dell’India in seguito all’invasione cinese del Tibet. «In genere non scelgo il tema delle mie opere in base alla fascinazione per un paese» spiega Bartabas, parigino di nascita, ma da tempo artista nomade dall’identità multipla. «Lavoro seguendo ciò che voglio esprimere interiormente e in base alle suggestioni suggeritemi dalle musiche, non necessariamente legate a una cultura in particolare, e poi le metto in relazione con i cavalli». Conosceva da oltre vent’anni la musica tibetana; tre anni fa è nata l’ispirazione per lo spettacolo. «Le mie creazioni partono sempre dalla musica, in accordo con i miei stati d’animo. Loungta è un po’ un caso a parte, perché è nato anche dall’esigenza di parlare di una cultura importante, di mettermi al servizio di una causa giusta». La cinesizzazione del Tibet continua inesorabile, in linea con il frenetico modello di sviluppo centrale: proprio lo scorso primo settembre le autorità di Pechino hanno celebrato in pompa magna il quarantennale della trasformazione del Tibet nella regione autonoma dello Xizang, la “Dimora del Tesoro occidentale”, come recita beffardo il suo nome in cinese ...

 


La Via della Seta e la civiltà cinese
(testo & foto di Antonio Politano,
oggetti esposti nella mostra "La nascita del Celeste Impero")

La Cina sbarca in Italia, questa volta senza invasioni commerciali ma con le testimonianze magnifiche del suo passato: vestiti di giada cuciti con fili d’argento, guerrieri di terracotta, armature di pietra, draghi di bronzo, Buddha di argilla, affreschi, ceramiche, specchi, vetri, lacche, ori, sete. Il 22 ottobre si è aperta a Treviso “La nascita del Celeste Impero”, primo appuntamento (Casa dei Carraresi, fino al 30 aprile) del ciclo di quattro grandi mostre biennali, organizzato dalla Fondazione Cassamarca con l’Accademia cinese di cultura internazionale, intitolato “La Via della Seta e la Civiltà Cinese”: un viaggio alla scoperta di duemila anni di arte e storia sviluppatesi durante le “dinastie celesti”, giudicato dalla Direzione nazionale dei Musei della Cina «il più importante progetto culturale cinese mai realizzato fino a oggi in Europa». La mostra attuale si concentra su un arco di tempo di oltre un millennio, dall’alba dell’Impero Qin al tramonto dell’Impero Tang, considerato l’“età d’oro della cultura cinese”: dal 221 a.C., fondazione dell’Impero Celeste, inizio della storia della Cina come entità statale centralizzata, al 960 d.C. quando irrompe sulla scena la dinastia Song.






Cavallo
Stalliere e cavallo, splendidi soggetti di terracotta di epoca Tang. Lo stalliere, dal cappello bianco e la veste gialla, regge con le mani le redini del cavallo nero dalla criniera bianca. Il cavallo ha sempre rappresentato un elemento fondamentale nello sviluppo delle aree attraversate dalla Via della Seta, per spostamenti, commerci, campagne militari. Al mercato di Kashgar, il più vasto dell’Asia centrale, i cavalli vengono sottoposi a prove di destrezza e docilità prima di procedere all’acquisto.

Guerrieri
Sono diversi i reperti esposti a Treviso provenienti dal Museo dei guerrieri e cavalli di terracotta dell’esercito dell’imperatore Qin, venuto alla luce dopo ventidue secoli di ignorata sepoltura nella fossa di Lintong a Xi’an, terminale orientale della Via della Seta: un ufficiale, due soldati, un cavallo e un balestriere inginocchiato. Gli arcieri e i balestrieri, armati anche di spada, erano sempre in prima linea, per scagliare frecce in rapida successione e difendere l’avanzata dell’esercito.

Tombe
Ceramica a tre colori, dinastia Tang, raffigurante un guardiano piazzato alle porte delle tombe per spaventare gli spiriti maligni grazie al suo aspetto minaccioso (corna sul capo, grandi orecchie dritte, fiamme dietro la schiena). I guardiani dipinti di marrone, giallo e verde sono tra gli oggetti più singolari rinvenuti nelle sepolture. Ai margini meridionali del Taklamakan (uno dei deserti più spaventosi del mondo, il cui nome significa “se entri non esci”) sorgono le tombe nella sabbia dell’Imam Hazim e di alcuni suoi discepoli, luogo eletto di pellegrinaggio per i musulmani della Cina occidentale. Attraverso la Via della Seta arrivarono merci, genti, tradizioni culturali, musiche, danze e fedi: prima il Buddhismo, dall’India originaria, attraverso l’Himalaya; più tardi l’Islam, introdotto dai mercanti arabi, che rappresenta oggi la religione più diffusa nella regione dello Xinjiang.





Intervista a Marco Goldin
(immagini AA.VV.)



Da anni è il Re Mida delle mostre in Italia. Prima c’era stata la lunga stagione di Treviso, con il ciclo di esposizioni - tra le più visitate di sempre - dedicate a Monet, Van Gogh, Cézanne. Poi, dall’anno scorso, il progetto quadriennale di Brescia, avviato con “Monet, la Senna, le ninfee” (440 mila visitatori), e la puntata a Torino, in proiezione delle Olimpiadi invernali, di “L’impressionismo e la neve” (300 mila visitatori). Marco Goldin, critico d’arte, organizzatore, scrittore, imprenditore, non si ferma più. Puntuale, come ogni autunno, arriva la sua mostra-monstre: il 22 ottobre si inaugura a Brescia “Gauguin, Van Gogh. L’avventura del colore nuovo”, già evento di massa ancor prima di debuttare visto che, a due settimane dall’apertura, le sole prenotazioni toccano quota 200 mila, un record. Qualità delle scelte, grandi nomi, strategia di comunicazione, iniziative collaterali, invenzioni. Fino ad oggi, per esempio, non si era ancora vista una tournée teatrale di dieci date (debutto il 15 settembre a Milano, chiusura il 21 ottobre a Brescia) per presentare una mostra d’arte. Goldin, che coltiva una sua passione per poesia e letteratura, ha scritto un atto unico, “Lontano dal mondo”, dove Gauguin e Van Gogh, artisti autodidatti, geni non riconosciuti in vita, drop-out in fuga, ripercorrono le loro esistenze nel “tempo finale della vita”, come scrive Goldin: “in punto di morte, quando davvero andiamo incontro al buio” e “cerchiamo invece in ogni modo di incontrare la luce” ...