Il disegno del mondo
Drawing the World
 
 
Ideazione e cura del libro-catalogo della mostra (tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma,
n
ell'ambito della seconda edizione del Festival della Letteratura di Viaggio
) "Il disegno del mondo.
La Malesia di Hugo Pratt, la Praga di Vittorio Giardino, l’Iran di Marjane Satrapi, il Libano di David Polonsky",
in collaborazione con Rizzoli Lizard, Cong e Contrasto
 
 




Exòrma Edizioni, 96 pagine, euro 23, 29,7x18,6 cm

Immagini (disegni, tavole, fotografie) degli autori in mostra. Testi di Alessandra Mauro, Stefano Malatesta, Bernardo Valli, Natalia Aspesi, Marjane Satrapi, Antonio Politano, Ugo G. Caruso. Con interviste a Hugo Pratt, Vittorio Giardino, David Polonsky, Ernesto Ferrero

Due tra i più grandi maestri del fumetto italiano e internazionale, Hugo Pratt e Vittorio Giardino: il primo presente con tavole tratte dal suo Sandokan (l'inedito del 1969 perduto e ritrovato, pubblicato per la prima volta quarant'anni dopo); il secondo, con opere dedicate al suo personaggio Jonas Fink. E due nomi nuovi come l'iraniana Marjane Satrapi, autrice della graphic novel, divenuta film, Persepolis, e l'israeliano David Polonsky autore con Ari Folman di Valzer con Bashir, nato dal film di animazione acclamato a Cannes

Sei fotografi della Magnum Photos: l'Iran di Abbas ad accompagnare i disegni di Marjane Satrapi; il Libano di Paolo Pellegrin, il lungo viaggio nella memoria di David Polonsky; la Praga degli anni '50 di René Burri e della Primavera del '68 di Ian Berry, le tavole di Vittorio Giardino; le genti e la natura della Malesia di Stuart Franklin e Jean Gaumy, l'eroe salgariano di Hugo Pratt





 


Libano © Paolo Pellegrin / Magnum Photos




Valzer con Bashir © David Polonsky




Malaysia © Jean Gaumy / Magnum Photos




Sandokan © Hugo Pratt




Praga © René Burri / Magnum Photos e Vittorio Giardino




Praga © Ian Berry / Magnum Photos e Vittorio Giardino




Marjane Satrapi e Iran © Abbas / Magnum Photos




Hugo Pratt e Malaysia © Stuart Franklin / Magnum Photos




Intervista a Hugo Pratt




Malaysia, sulle tracce di Sandokan © Antonio Politano

 
Di seguito, l’intervento scritto per il libro da Alessandra Mauro, co-curatrice della mostra e direttore editoriale di Contrasto, dal titolo "Storie per immagini"

Mario Giacomelli, decano della fotografia italiana e maestro di intere generazioni di autori, amava molto lavorare per serie di immagini. Cercava di creare possibili "storie" con sequenze ragionate e innovative di fotografie che seguivano, a volte sviluppavano o interpretavano, le sue idee, le possibili intuizioni o magari il filo lirico di una poesia che lo aveva toccato in modo particolare.

Una delle serie più celebri resta "Un uomo, una donna, un amore". Si tratta della storia, costruita tutta intorno all'ambiente di Giacomelli, tra la sua casa di Senigallia e i suoi amici, di un giovane in procinto di partire per il servizio militare che saluta, triste e affettuoso, la ragazza in un'ultima giornata insieme. Le foto seguono i due in spiaggia, poi su un prato e, infine, nei momenti che precedono l'addio alla stazione della loro città. Componendo la serie Giacomelli prevedeva già il modo in cui avrebbe dovuto essere esposta (esistono fotografi che lavorano pensando ai libri che comporranno, altri invece progettano mostre, Giacomelli apparteneva senza dubbio alla seconda specie) e spulciando nei suoi archivi, è recentemente venuto fuori un gruppo verticale di cinque stampe fotografiche incollate insieme, già predisposte per "l'appesa" nella sala di un museo o di un concorso fotografico, in cui è possibile rintracciare la sequenza esatta che l'autore aveva disegnato per quel malinconico epilogo. Unendo le stampe una dopo l'altra, si assicurava che nessuno potesse sbagliare, invertendo l'ordine e quindi il senso della sua storia.

Penso a quelle foto, a quella sequenza fotografica così vicina alla tradizione tutta italiana dei fotoromanzi, osservando i materiali di questo lavoro che unisce, in modo unico e originale, le graphic novel a fumetti e i reportage fotografici. Chissà, forse Giacomelli avrebbe apprezzato o almeno mi piace pensare che lo avrebbe incuriosito vedere confermata la forza straordinaria della comunicazione visiva a cui è possibile affidare il filo narrativo di un'esistenza da svolgere in modo avvincente e complesso, penetrante e immediato.

Del resto, gli autori di reportage sanno bene che questa forza comunicativa è la chiave del loro lavoro sull'attualità. Life, la rivista americana diventata la vera bibbia per generazioni di fotogiornalisti, ha saputo a suo tempo rinnovare la fruizione delle notizie sconvolgendo quella che era la gerarchia delle informazioni all'interno di un rotocalco, dando tanto spazio alle fotografie da creare i primi "saggi fotografici", ancora straordinari per impatto comunicativo. In quattro o cinque pagine, i fotografi di Life dovevano sintetizzare il senso di un'esistenza, di mesi di studio e di lavoro a volte estenuante. Eugene Smith costruì la sua fama in questo modo, componendo un saggio fotografico sulla vita quotidiana di un medico di campagna o ancora sulle normali peripezie di tutti i giorni di una levatrice di colore o, fuori dagli Usa, narrando visivamente i ritmi di vita e morte in un villaggio spagnolo. In questi casi le fotografie dovevano commuovere, descrivere e informare. E se il fotografo doveva seguire una guerra, la sua sequenza descriveva il dramma concitato, la rapidità di esecuzione, la crudezza e la disperazione della morte che si vivono in una battaglia, come nel Vietnam durante l'operazione "Yankee Papa", magistralmente raccontata in bianco e nero da Larry Burrows.

Per questo lavoro gli autori scelti sono grandi fotogiornalisti, della migliore tradizione, quella di Magnum Photos, la prestigiosa agenzia di fotografi che discende proprio da Capa, Smith e in qualche modo dalla scuola di Life.

Si tratta di autori che hanno scelto di conoscere il mondo e di comprenderne le storie per poter poi a loro volta raccontarlo. Così, se Paolo Pellegrin da anni insegue e raccoglie le tante vicende di un Medio Oriente tragico, complesso e affascinante, sa bene che presto tutto il suo materiale confluirà in un lavoro più ampio, forse un libro, in cui finalmente potrà comporre la variegata tela della sua esperienza in quel Libano, in quella Palestina, in quel Medio Oriente che come pochi conosce. Straordinaria quindi, la vicinanza con il "Valzer con Bashir", che potrebbe essere una delle storie raccolte dal fotografo romano nei suoi viaggi di lavoro.

Le atmosfere malesi tornano nelle immagini di Jean Gaumy e Stuart Franklin, fotografi che intendono l'impegno anche come conoscenza del mondo e salvaguardia dell'ambiente. Nelle loro foto troviamo lo stupore di un mondo nuovo e un sapore di esotismo diffuso e meditato, che non diventa manierismo ma resta malinconia, proprio come nelle strisce di Hugo Pratt. La Praga ancora magica di Vittorio Giardino si rispecchia nelle foto, costruite con la solita perfezione geometrica, di René Burri e di Ian Berry. Una città che, se ancora non ha vissuto il dramma dell'invasione dei carri armati, respira già ogni giorno, ogni momento, l'atmosfera dell'assedio culturale e politico. Figlio dell'Iran come lo è Marjane Satrapi, Abbas ha rivolto spesso la sua attenzione e il suo obiettivo verso il paese che conosce meglio, ma non per questo si rassegna.

Sui muri di una mostra le fotografie si dispongono in sequenze mosse e ragionate, esattamente come avviene per le tavole illustrate. Nel racconto visivo troviamo alternanza di formati, foto singole che occupano ampio spazio e gruppi di foto affastellate tra loro, come in fondo avviene per la narrazione orale, quando il ritmo e il tono scandiscono con pause, silenzi, frasi spezzate e torrenziali affabulazioni l'andamento di una storia.

L'importante, per tutti, è riuscire a raccontare, diventare i nuovi cantastorie (gli storytellers della tradizione cara agli indiani d'America) del nostro presente e farlo con un linguaggio universale come è appunto quello delle immagini, per poter comporre storie vere, o almeno verosimili, adatte a un mondo complicato come il nostro. Che tanto ancora ha da imparare e da conoscere.


P.S.
Non solo penso che Giacomelli si divertirebbe a scoprire i possibili nessi tra narrazione fotografica e grafica. Ma ho la presunzione di credere che anche Hugo Pratt, a sua volta, avrebbe apprezzato le sequenze fotografiche che Giacomelli realizzava. Anche Giacomelli era figlio di un Mare Adriatico creato da Dio per generare nostalgia e come Hugo Pratt adorava rappresentare gabbiani – a volte addirittura posticci – per popolare di ali le sue fotografie, le sue storie e il suo mare.